Ricorso proposto dalla regione Veneto (C.F. 80007580279  -  P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta regionale  dott.
Luca Zaia  (C.F.  ZAILCU68C27C957O),  autorizzato  con  deliberazione
della Giunta regionale n. 1322 del 28 luglio 2014  (allegato  n.  1),
rappresentato e difeso, per mandato  a  margine  del  presente  atto,
tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avuti Ezio Zanon  (C.F.
ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof.  Luca
Antonini (C.F. NTNLCU63E27D869I) del Foro di  Milano  e  Luigi  Manzi
(C.F. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso
lo studio di  quest'ultimo  in  Roma,  via  Confalonieri  n.  5  (per
eventuali   comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org, contro  il  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  pro-tempore,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e'  domiciliato
ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per  la  dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale  delle   seguenti   disposizioni   del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti  per  la
competitivita' e la giustizia sociale», convertito con  modificazioni
dalla  legge  23  giugno  2014,  n.  89,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale del 23 giugno 2014, n. 143: 
        1) dell'art. 8, commi 4, 6, 10 per violazione degli  articoli
3, 117, III e IV comma, 119 e 120 della Costituzione; 
        2) dell'art. 14, commi 1, 2  e  4-ter  per  violazione  degli
articoli 3,  97,  117,  III  comma,  119  della  Costituzione  e  del
principio  di  leale  collaborazione  di  cui  all'art.   120   della
Costituzione; 
        3) dell'art. 15 per violazione degli articoli 3, 97, 117, III
comma, 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione
di cui all'art. 120 della Costituzione; 
        4) dell'art. 24, comma 4, per violazione  degli  articoli  3,
97, 117, III comma, 119 della Costituzione e del principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione; 
        5) dell'art. 41, comma 2, per violazione  degli  articoli  3,
97, 117, I, III e IV comma e 119 della Costituzione; 
        6) dell'art. 46, commi 6 e 7 per violazione degli articoli 3,
117, III e IV comma, 119 e 120 della Costituzione. 
 
                             M o t i v i 
 
    1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, commi 4, 6, 10. 
    6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 46, commi 6 e 7. 
    L'art. 8 (Trasparenza e razionalizzazione  della  spesa  pubblica
per beni  e  servizi)  del  decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66,
convertito con modificazioni dalla  legge  23  giugno  2014,  n.  89,
prevede al comma 4: 
    «4. A decorrere dalla data di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto, le pubbliche amministrazioni di cui all'art.  11,  comma  1,
del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, riducono la  spesa  per
acquisti di beni  e  servizi,  in  ogni  settore,  per  un  ammontare
complessivo pari a 2.100 milioni di euro per il 2014 in ragione di: 
        a) 700 milioni  di  euro  da  parte  delle  regioni  e  delle
province autonome di Trento e Bolzano; 
        b) 700 milioni di euro, di cui 340 milioni di euro  da  parte
delle province e citta' metropolitane e 360 milioni di euro da  parte
dei comuni; 
        c) 700 milioni di euro, comprensivi della riduzione di cui al
comma 11, da parte delle pubbliche amministrazioni  di  cui  all'art.
11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. 
    Le stesse riduzioni si applicano, in ragione d'anno, a  decorrere
dal 2015.». 
    L'art. 8, al comma 6 dispone poi: 
    «6. La determinazione degli obiettivi di riduzione di  spesa  per
le regioni e le province autonome e' effettuata con le  modalita'  di
cui all'art. 46.». 
    Al comma 10, l'art. 8 stabilisce, infine, che: 
    «10 Le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
possono adottare  misure  alternative  di  contenimento  della  spesa
corrente al fine di conseguire  risparmi  comunque  non  inferiori  a
quelli derivanti dall'applicazione del comma 4.». 
    In questi termini  l'art.8  prevede  che  le  regioni  ordinarie,
quelle speciali e le province autonome di Trento e  Bolzano  riducano
la spesa per acquisti di' beni e servizi, in ogni settore, in ragione
di 700 milioni di euro per il 2014  e  che  le  stesse  riduzioni  si
applichino, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015. Va precisato che
l'espressione «in ragione  di  anno»deve  intendersi  nel  senso  che
l'obiettivo fissato per il 2014 e' riferito a  otto  mesi  dell'anno,
considerata la data di entrata in vigore del decreto-legge.  Pertanto
l'obiettivo per gli 2015  e  seguenti  e'  rideterminato  in  aumento
percentuale  rispetto  agli  ulteriori  mesi  considerati  nel  2014,
raggiungendo un importo quasi doppio. 
    La determinazione degli obiettivi di riduzione di  spesa  per  le
regioni e le province autonome, in base al rimando del  comma  6,  e'
poi effettuata con le modalita' di cui all'art. 46 (commi 6 e 7).  La
connessione che lega, attraverso il  comma  6,  la  disposizione  del
comma 4 dell'art. 8 con quella dell'art. 46, commi 6 e  7,  ne  rende
pertanto opportuna la trattazione  congiunta  in  questo  motivo  del
ricorso. 
    In particolare, i commi 6 e 7 dell'art. 46,  nello  stabilire  le
modalita' di riparto del contributo alla finanza  pubblica,  rinviano
ad un'intesa che, tenendo conto  anche  del  rispetto  dei  tempi  di
pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche' dell'incidenza
degli acquisti centralizzati,  deve  essere  raggiunta  entro  il  31
maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed  entro  il  31  ottobre
2014 con riferimento agli anni 2015 e  seguenti.  Piu'  precisamente,
tali disposizioni stabiliscono che: 
    «6. Le regioni e le province autonome di  Trento  e  Bolzano,  in
conseguenza dell'adeguamento dei propri ordinamenti  ai  principi  di
coordinamento della finanza pubblica introdotti dal presente  decreto
e  a  valere  sui  risparmi  derivanti  dalle  disposizioni  ad  esse
direttamente applicabili ai sensi dell'art. 117, comma secondo, della
Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica  pari  a
500 milioni di euro per l'anno 2014 e di  750  milioni  di  euro  per
ciascuno degli anni dal 2015 al  2017,  in  ambiti  di  spesa  e  per
importi  proposti  in  sede  di  autocoordinamento  dalle  regioni  e
province autonome medesime, tenendo  anche  conto  del  rispetto  dei
tempi di  pagamento  stabiliti  dalla  direttiva  2011/7/UE,  nonche'
dell'incidenza degli acquisti centralizzati, da recepire  con  Intesa
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,  entro  il  31
maggio 2014, con riferimento all'anno 2014 ed  entro  il  31  ottobre
2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti. In assenza  di  tale
Intesa entro i predetti  termini,  con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  da  adottarsi,  previa  deliberazione  del
Consiglio  dei  ministri,  entro  venti  giorni  dalla  scadenza  dei
predetti termini, i richiamati importi sono assegnati  ad  ambiti  di
spesa ed attribuiti alle  singole  regioni  e  province  autonome  di
Trento e Bolzano, tenendo anche conto del  Pil  e  della  popolazione
residente,  e  sono  eventualmente   rideterminati   i   livelli   di
finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione
delle risorse da parte dello Stato. 
    7. Il  complesso  delle  spese  finali  espresse  in  termini  di
competenza eurocompatibile di ciascuna regione a  statuto  ordinario,
di cui al comma 449-bis dell'art. 1 della legge 24 dicembre 2012,  n.
228, e' ridotto per ciascuno degli anni dal  2014  al  2017,  tenendo
conto degli importi determinati ai sensi del comma 6.». 
    Tali complesse disposizioni degli articoli 8 e 46, realizzano nel
loro insieme un sistema di tagli sulla spesa per acquisti di  beni  e
servizi della  regione  che  risulta  costituzionalmente  illegittimo
sotto diversi profili, analiticamente esposti qui di seguito: 
        a) innanzitutto il primo aspetto che deve essere  considerato
e' il carattere meramente  lineare  del  taglio  che  viene  imposto.
Nessuna distinzione qualitativa viene, infatti, effettuata in  merito
all'obbligo di contenimento, in ogni settore,  della  spesa  pubblica
regionale per acquisti di beni  e  servizi.  Questa  viene,  infatti,
incisa da una misura dal carattere assolutamente generico,  idoneo  a
ricomprendere non solo la  cosiddetta  spesa  cattiva  (quella  spesa
cioe' la cui  riduzione,  nell'ambito  delle  manovre  e'  senz'altro
opportuna), ma anche la cosiddetta spesa buona; ad esempio, la misura
di contenimento ricomprende (si veda Dossier n. 178 del 9 giugno 2014
- allegato n. 2 - del Servizio bilancio della Camera dei deputati,  a
pag. 47) sia la spesa corrente che quella in conto capitale (che  dal
2009 in Italia, per l'effetto di manovre di taglio lineare analoghe a
quella in oggetto si e' ridotta  di  circa  20  miliardi,  che  erano
gestiti, per oltre il 70% a livello sub statale: si tratta di un dato
sintomatico che evidenzia il perverso effetto prodotto dalle  manovre
che hanno scacciato la spesa buona e  sono  risultate  poco  efficaci
sulla spesa cattiva). 
    Inoltre, il taglio che viene realizzato e' potenzialmente  idoneo
a interferire in ambiti inerenti  a  fondamentali  diritti  civili  e
soprattutto sociali (date le competenze, ad  esempio  in  materia  di
assistenza sociale, costituzionalmente assegnate alle regioni),  dove
lo Stato dovrebbe, invece, esplicare la propria fondamentale funzione
di coordinamento attraverso la determinazione dei livelli  essenziali
delle prestazioni, proprio al fine di evitare la messa a  repentaglio
quel livello di erogazione dei servizi che deve essere  uniformemente
garantito su tutto il territorio nazionale  (sulla  predeterminazione
normativa  da  parte  dello  Stato  dei  livelli   essenziali   delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali come strumento per
garantire un uso corretto dei poteri regionali codesta  ecc.ma  Corte
e' piu' volte intervenuta, si veda ad esempio gia' la sentenza n. 320
del 2004 fino alla recente sentenza n. 273 del 2013 dove si evidenzia
la gravita'  della  inattuazione  della  individuazione  dei  livelli
essenziali  delle  prestazioni  assistenza,  dell'istruzione  e   del
trasporto pubblico locale  in  materia  che  «costituiscono  pertanto
condizione necessaria ai fini della compiuta attuazione  del  sistema
di finanziamento delle  funzioni  degli  enti  territoriali  previsto
dall'art. 119 Cost.»). Disponendo un taglio lineare in questi termini
lo  Stato  non  ha,  invece,  utilizzato  alcun  parametro  idoneo  a
consentire  una  verifica  sulla  sostenibilita'  del  taglio  stesso
rispetto alla erogazione dei servizi - anche se  appunto  connessi  a
fondamentali diritti civili e sociali. 
    Infine, la previsione non contiene alcun  riferimento  a  livelli
standard di spesa efficiente (solo  per  le  amministrazioni  statali
l'art. 8 prevede, al comma 5, come criterio di virtuosita' quello  di
disporre gli acquisti ai prezzi piu' prossimi a quelli di riferimento
ove esistenti), applicandosi in  modo  generalizzato  alla  totalita'
delle regioni  senza  alcuna  considerazione  dei  livelli  di  spesa
storica sostenuti dalle singole regioni e  senza  alcuna  valutazione
sulla  relativa  appropriatezza  (eppure  i  bilanci  delle   regioni
riclassificati in modo omogeneo - permettendo quindi l'analisi  delle
singole voci di spesa - sono ormai disponibili dal 2009 in base  alla
previsione di cui all'art. 19-bis del decreto-legge n. 135 del 2009).
In questo modo  il  taglio  lineare  e'  potenzialmente  idoneo,  dal
momento che nessuna verifica di sostenibilita' e' stata effettuata  a
livello  centrale,   a   compromettere   l'erogazione   dei   servizi
soprattutto in quelle realta' regionali che hanno adottato  da  tempo
misure  di   contenimento   della   spesa   riducendola   a   livelli
difficilmente ulteriormente comprimibili senza un vulnus  al  sistema
dei servizi sociali. Ne'  la  previsione  che  la  distribuzione  del
taglio, sia in termini di importo che di ambiti di spesa, sia rimessa
in sede di  autocoordinarnento  dalle  regioni  a  un'intesa  vale  a
superare, come si vedra',  le  censure  inerenti  ad  un  illegittimo
intervento sulla autonomia di spesa delle regioni (peraltro  in  sede
di coordinamento con le regioni gli unici  due  criteri  che  vengono
considerati sono il rispetto dei tempi di pagamento  e  il  grado  di
centralizzazione degli acquisti, senza  alcun  riferimento,  appunto,
ne'  alla  sostenibilita'  sociale  dei  tagli,  ne'  al   grado   di
appropriatezza della spesa delle singole regioni). 
    In  questi  termini  le  disposizioni  impugnate  travalicano  la
funzione del «coordinamento»della finanza pubblica e si concretizzano
in  misure  di  «contenimento»che   risultano   pero'   prive   degli
indispensabili  elementi  di  razionalita',   di   efficacia   e   di
sostenibilita' che dovrebbero quantomeno informare tale funzione. 
    Da questo punto di  vista  risultano  violati:  il  principio  di
ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.  con  una  diretta  ricaduta
sull'autonomia regionale che risulta limitata nella propria capacita'
organizzativa e finanziaria; l'art. 117,  III  comma,  in  quanto  e'
indebitamente travalicata, da parte della  disposizione  della  legge
statale  impugnata,  la  funzione  di  coordinamento  della   finanza
pubblica; l'art. 119, e gli articoli 117, III e IV comma,  in  quanto
e'  indebitamente  incisa  l'autonomia  di  spesa  della  regione   e
conseguentemente anche la funzione legislativa della  stessa  che  si
deve svolgere nel rispetto degli equilibri di un  quadro  finanziario
che viene illegittimamente alterato. La suddetta censura  si  estende
anche al comma 10 che impone in ogni  caso  una  quantificazione  del
taglio corrispondente a quanto stabilito dal comma 4; 
        b) il secondo aspetto che deve essere considerato e'  poi  la
natura permanente della riduzione  di  spesa.  L'ultimo  periodo  del
comma 4 dell'art. 8, afferma, infatti, che «le  stesse  riduzioni  si
applicano, in ragione d'anno, a decorrere dal 2015». 
    Codesta ecc. ma Corte costituzionale, nella sentenza n.  193  del
2012 (e nella successiva sentenza n. 79 del 2014) ha  avuto  modo  di
precisare con molta chiarezza l'incostituzionalita',  per  violazione
dell'art. 119 Cost.,  di  «misure  restrittive  in  riferimento  alle
regioni ordinarie, alle province  ed  ai  comuni  senza  indicare  un
termine finale  di  operativita'  delle  misure  stesse»,  in  quanto
possono  essere  ritenute  principi  fondamentali   in   materia   di
coordinamento della  finanza  pubblica,  ai  sensi  del  terzo  comma
dell'art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre  obiettivi  di
riequilibrio  della  finanza  pubblica,  intesi  nel  senso   di   un
transitorio contenimento complessivo, anche se  non  generale,  della
spesa  corrente  e  non  prevedano  in  modo  esaustivo  strumenti  o
modalita' per il perseguimento dei suddetti  obiettivi  (sentenza  n.
148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del  2011  e  n.
326 del 2010)». 
    Il carattere permanente della misura  di  riduzione  della  spesa
regionale   ne   inficia   quindi   certamente,   alla   luce   della
giurisprudenza costituzionale, la legittimita'. 
    Non e' peraltro chiaro il raccordo, a questo riguardo, del  comma
4 dell'art. 8 (che si conclude, come gia' ricordato, affermando:  «le
stesse riduzioni si applicano, in ragione  d'anno,  a  decorrere  dal
2015») con l'art. 46, commi 6 e  7,  dove  l'ambito  di  applicazione
della misura di contenimento della spesa  regionale  viene  precisato
solo per l'anno 2014 e per ciascuno degli  anni  dal  2015  al  2017,
senza alcun riferimento agli anni successivi. 
    La circostanza e' stata evidenziata anche dal gia' citato Dossier
n. 178 del 9 giugno 2014 (allegato n. 2) del Servizio bilancio  della
Camera dei deputati, dove a pag. 47 si afferma: «Si  rileva,  infine,
che le norme recate dall'ultimo periodo del comma 4 stabiliscono  che
le riduzioni di spesa hanno natura permanente mentre l'art. 47  (46),
che include le riduzioni di  spesa  recate  dall'articolo  in  esame,
fissa obiettivi di risparmio per gli enti territoriali solo  fino  al
2017. Appare, pertanto, necessario che il  Governo  chiarisca  se  la
riduzione delle spese prevista dall'articolo in  esame  abbia  natura
permanente». 
    In ogni caso, siccome le disposizioni dei commi 6 e  7  dell'art.
46,  che  sembrano  limitare  l'effetto  in   termini   temporalmente
circoscritti, hanno carattere meramente applicativo, non e' possibile
ascrivere  alle  stesse  la  forza  di  stabilire  un  termine   alla
applicabilita'  dello  stesso  comma  4  dell'art.  8.  Il  carattere
permanente del taglio che deriva da tale disposizione risulta  quindi
violare sia la previsione dell'art. 117, III comma, sul coordinamento
della finanza pubblica, sia l'autonomia di spesa della regione di cui
all'art. 119 della Costituzione; 
        c) un terzo aspetto che deve  essere  considerato  e'  infine
quello, gia' prima accennato, inerente alla disciplina del riparto in
sede di coordinamento regionale. 
    L'art. 46, al comma 6, prevede infatti  una  intesa  in  sede  di
Conferenza permanente allo scopo di definire  sia  il  riparto  degli
importi, sia i relativi ambiti di spesa (al riguardo si  precisa  che
per il 2014 l'Intesa e' stata raggiunta in data 29 maggio  2014).  Si
prevede altresi' che tra i criteri da  assumere  a  tale  fine  e  in
quella sede vengano  in  considerazione  il  rispetto  dei  tempi  di
pagamento stabiliti dalla direttiva  2011/7/UE  e  l'incidenza  degli
acquisti centralizzati. 
    Tuttavia, (ormai in  relazione  agli  anni  successivi  a'  2014)
qualora la suddetta intesa non venga raggiunta, l'art. 46,  comma  6,
dispone che, in tal caso, il riparto del taglio e i  relativi  ambiti
siano  definiti  «con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri,  da  adottarsi,  previa  deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri, entro venti giorni dalla scadenza dei predetti termini, ...
tenendo anche conto del Pil e della popolazione residente». 
    In questa ipotesi, pertanto, i due criteri  che  vengono  assunti
dallo Stato per definire il riparto e gli ambiti del  taglio  vengono
identificati nel Pil regionale e nella popolazione residente.  E'  di
tutta evidenza non solo come tali criteri non abbiano  una  attinenza
costituzionalmente corretta con lo scopo della norma  che  e'  quello
del coordinamento (rectius: contenimento) della spesa  regionale,  ma
soprattutto che addossare, in questi termini, un maggiore onere  alle
regioni con un Pil piu'  elevato  travalica  l'ambito  dell'art.  119
della Costituzione. 
    Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo  di  precisare  con  chiarezza
nella  sentenza  n.  79  del  2014,  in  relazione  all'art.  16  del
decreto-legge n. 95 del 2012, che un taglio  alle  risorse  regionali
applicato in misura proporzionale anche alle spese  sostenute  per  i
consumi intermedi, nel senso di imporre maggiori riduzioni  a  quelle
regioni che abbiano effettuato maggiori spese per i suddetti  consumi
intermedi, realizza «un effetto perequativo implicito,  ma  evidente,
che discende dal collegare la  riduzione  dei  trasferimenti  statali
all'ammontare delle spese  per  i  consumi  intermedi,  intese  quali
manifestazioni, pur indirette, di ricchezza delle regioni». 
    In questi termini la sentenza n. 79 del 2014 ha ritenuto che «una
simile misura perequativa, tuttavia, contrasta con l'art.  119  Cost.
in quanto non soddisfa i requisiti ivi prescritti, in particolare  al
terzo ed al quinto comma». 
    Nel richiamare la propria consolidata giurisprudenza, la suddetta
sentenza ha precisato, infatti, che «gli interventi  statali  fondati
sulla differenziazione tra regioni, volti a rimuovere  gli  squilibri
economici e sociali, devono seguire le  modalita'  fissate  dall'art.
119, quinto comma,  Cost.,  senza  alterare  i  vincoli  generali  di
contenimento  della  spesa  pubblica,  che  non  possono  che  essere
uniformi» (sentenze n. 46 del 2013 e n. 284  del  2009)».  Ha  quindi
ribadito «che,  ove  le  risorse  acquisite  siano  destinate  ad  un
apposito fondo perequativo, esse devono essere  indirizzate  ai  soli
"territori con minore capacita'  fiscale  per  abitante"  (art.  119,
terzo comma, Cost.)». 
    Nella  previsione  dell'art.  46,  comma  6,  qui  impugnata,  il
legislatore statale ha sostituito il riferimento ai consumi intermedi
con quello al Pil regionale (e alla popolazione).  Tale  riferimento,
tuttavia, non vale in alcun modo a superare la sostanza della censura
che era contenuta nella sentenza n.  79  del  2014,  ma  ricade  anzi
pienamente nella stessa medesima logica censurata. 
    Nella sentenza  n.  79  del  2014,  infatti,  codesta  Corte  ha,
infatti, precisato che «mentre il concorso agli obiettivi di  finanza
pubblica e' un obbligo indefettibile di tutti gli  enti  del  settore
pubblico allargato di  cui  anche  le  regioni  devono  farsi  carico
attraverso  un  accollo   proporzionato   degli   oneri   complessivi
conseguenti alle manovre di finanza pubblica (ex  plurimis,  sentenza
n. 52 del 2010), la perequazione degli squilibri economici in  ambito
regionale deve rispettare le modalita' previste  dalla  Costituzione,
di  modo  che  il  loro   impatto   sui   conti   consolidati   delle
amministrazioni pubbliche possa essere fronteggiato ed  eventualmente
redistribuito attraverso la fisiologica utilizzazione degli strumenti
consentiti dal vigente ordinamento finanziario e contabile  (sentenza
n. 176 del 2012)». 
    La previsione dell'art. 46, comma 6, qui impugnata, addossando un
maggiore onere a  carico  delle  regioni  che  abbiano  un  Pil  piu'
elevato, determina pertanto,  dal  punto  di  vista  sostanziale,  la
stessa  alterazione  dei  corretti   criteri   costituzionali   della
perequazione che codesta ecc.ma Corte ha censurato nella sentenza  n.
79 del 2014 (e' di tutta evidenza, ad esempio, che il  dato  del  Pil
sia, in ogni caso, cosa diversa dalla  capacita'  fiscale  -  cui  fa
riferimento l'art.119 Cost - che implica  invece  il  riferimento  ai
dati standardizzati  di  gettito  delle  imposte  e  che  quindi  non
sussiste una correlazione necessaria tra  Pil  e  capacita'  fiscale,
esistendo elementi che  concorrono  a  determinare  il  Pil  che  non
rientrano  necessariamente,  o  nello  stesso  modo,  nella  dinamica
impositiva). 
    Anche  in  relazione  alla  complessa  fattispecie  definita  dal
combinato disposto degli articoli 8, comma 4, e 46, commi 6 e 7,  del
decreto-legge n. 66 del 2014, non  risultano  quindi  in  alcun  modo
rispettate le condizioni richieste della sentenza a 79 del  2014,  le
cui  conclusioni  ben  possono  essere  specularmente  riportate   in
relazione al caso di specie, posto che le disposizioni qui censurate,
anch'esse «non  contengono  alcun  indice  da  cui  possa  trarsi  la
conclusione che le risorse in tal modo acquisite siano  destinate  ad
un fondo  perequativo  indirizzato  ai  soli  "territori  con  minore
capacita' fiscale per abitante" (art. 119, terzo comma,  Cost.),  ne'
che esse siano volte a fornire quelle "risorse  aggiuntive",  che  lo
Stato  -  dal  quale,  peraltro,  dovrebbero  provenire   -   destina
esclusivamente a "determinate" regioni per "scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni" (art. 119,  quinto  comma,  Cost.:  ex
plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006; n. 107 del 2005;
n. 423, n. 320, n. 49 e n. 16 del 2004), con riferimento a  specifici
ambiti territoriali e/o a particolari categorie svantaggiate".» 
    Le disposizioni dell'art. 46, commi 6 e 7,  nella  parte  in  cui
dispongono nei termini descritti l'intervento sostitutivo statale nel
caso della mancata intesa, risultano pertanto violare l'art. 119 e in
particolare i commi III e V, oltre che l'art. 120 Cost. 
    2) Illegittimita' dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter. 
    L'art. 14,  comma  1,  relativo  al  controllo  della  spesa  per
incarichi di consulenza, studio e ricerca, stabilisce che le regioni,
in quanto rientranti nell'elenco  delle  amministrazioni  interessate
dalla disposizione, a decorrere dall'anno 2014, non possano conferire
incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva
sostenuta nell'anno per tali incarichi sia  superiore  ad  una  certa
percentuale della propria spesa per il personale, come risultante dal
conto annuale del 2012, pari al 4,2% per le amministrazioni con spesa
di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,4% per  le
amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro. 
    Lo stesso art. 14, al comma  2  prevede  la  stessa  dinamica  di
contenimento della spesa  riguardo  ai  contratti  di  collaborazione
coordinata e  continuativa,  statuendo  che  le  regioni,  in  quanto
rientranti  nell'elenco  delle  amministrazioni   interessate   dalla
disposizione,  non  possano  stipulare  contratti  di  collaborazione
coordinata e  continuativa  quando  la  spesa  complessiva  per  tali
contratti sia superiore  rispetto  alla  spesa  del  personale,  come
risultante dal conto annuale del 2012, al 4,5% per le amministrazioni
con spesa di personale pari o  inferiore  a  5  milioni  di  euro,  e
all'1,1% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a  5
milioni di euro. 
    Il comma 4-ter dell'art.14 stabilisce, infine, per le  regioni  e
le province autonome di Trento e di Bolzano (oltre che per  province,
Citta' metropolitane e comuni) la facolta' di rimodulare  o  adottare
misure alternative di contenimento della spesa corrente, al  fine  di
conseguire  risparmi  comunque  non  inferiori  a  quelli   derivanti
dall'applicazione dei corrimi  1  e  2.  Obbliga  quindi  le  regioni
comunque al conseguimento di un contenimento di spesa quantificato in
base ai criteri di cui ai commi 1 e 2. 
    Tali disposizioni nel fissare in questi termini tetti alla  spesa
per  incarichi  di  consulenza,  studio  e  ricerca,  nonche'  per  i
contratti  di  collaborazione  coordinata  e  continuativa,  appaiono
radicalmente irragionevoli e lesive delle attribuzioni costituzionali
delle regioni. 
    In primo luogo in quanto, peraltro  in  assenza  di  intesa,  non
contengono  principi  di   coordinamento   ma   misure   puntuali   e
dettagliate: al riguardo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte e'
stata quanto mai chiara nell'affermare che  possono  essere  ritenute
principi fondamentali  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., solo le norme
che «si limitino a porre  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica,  intesi  nel   senso   di   un   transitorio   contenimento
complessivo, anche se  non  generale,  della  spesa  corrente  e  non
prevedano  in  modo  esaustivo   strumenti   o   modalita'   per   il
perseguimento dei suddetti obiettivi»  (sentenza  n.  148  del  2012;
conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326  del  2010).
Si realizza pertanto una violazione del III comma dell'art. 117 Cost.
e dell'art.119 della Costituzione. 
    Solo a titolo informativo si ricorda peraltro che lo stesso, gia'
citato, dossier n. 178 del 2014 della Camera dei  deputati  (allegato
n. 2)  aveva  avanzato  dubbi  di  costituzionalita'  (pag.  68),  in
relazione alle disposizioni in oggetto, evidenziando: «che  la  Corte
costituzionale ha affermato che qualora la legge  statale  vincolasse
regioni e province autonome all'adozione di misure  analitiche  e  di
dettaglio (in una determinata materia), essa  verrebbe  a  comprimere
illegittimamente  la  loro  autonomia  finanziaria,  esorbitando  dal
compito di formulare i soli principi fondamentali della materia. Cfr.
sentenza n. 159 del 2008. In essa si afferma testualmente che  «Tutto
cio' porta a concludere che il comma 730 (della legge n. 296/2006) e'
costituzionalmente  illegittimo   perche'   irriducibile   a   quanto
prescritto nell'ultimo periodo del terzo comma  dell'art.  117  della
Costituzione:  quand'anche  la  norma   impugnata   venga   collocata
nell'area del coordinamento della finanza pubblica, e' palese che  il
legislatore  statale,  vincolando   regioni   e   province   autonome
all'adozione di misure analitiche e di  dettaglio,  ne  ha  compresso
illegittimamente l'autonomia finanziaria, esorbitando dal compito  di
formulare i soli principi fondamentali della materia".». 
    In  secondo  luogo  perche',  in  spregio  ad  ogni  criterio  di
razionalita' e di buon andamento della pubblica amministrazione e  ai
criteri che dovrebbero informare anche i processi di spending review,
le   norme   impugnate   vanno   a   penalizzare   indebitamente   le
amministrazioni  virtuose  che  hanno  contenuto  la  spesa  per   il
personale e a favorire quelle  che  invece  hanno  ecceduto  in  tale
spesa. 
    Piu'  precisamente,  dall'esame   dei   bilanci   delle   regioni
riclassificati in base alla previsione di  cui  all'art.  19-bis  del
decreto-legge n. 135 del 2009 emerge, ad esempio,  che  nel  2012  la
spesa  per  il  personale  della  regione  Veneto  e'  stata  pari  a
144.826.690, mentre quella della regione Campania  e'  stata  pari  a
329.794.972, mentre quella della  Sicilia  addirittura  e'  stata  di
1.699.525.095  (allegato  n.   3),   pur   trattandosi   di   regioni
sostanzialmente omogenee in termini  di  popolazione  (intorno  ai  5
milioni di abitanti). Le disposizioni dei commi 1 e 2  dell'art.  14,
peraltro, anziche' determinare il contenimento della  spesa  pubblica
possono addirittura  determinare  un  paradossale  effetto  espansivo
della spesa nelle amministrazioni regionali in  cui  si  registra  un
eccesso di spesa storica per il personale, dal momento che e' proprio
questo dato che viene irragionevolmente identificato quale  parametro
sul quale calcolare la percentuale di spesa consentita sia in  ordine
agli incarichi di consulenza, studio e ricerca sia per i contratti di
collaborazione coordinata e continuativa. 
    In altre parole, proprio alle amministrazione regionali che  meno
avrebbero bisogno di rivolgersi all'esterno (consulenze) o  ricorrere
a   collaborazioni   coordinate   o   continuative,   perche'    gia'
caratterizzate da un eccesso di personale, si consente  una  maggiore
spesa per queste fattispecie. 
    Tali disposizioni, peraltro di carattere permanente - e quindi in
violazione  del  principio  di  transitorieta'  richiesto  invece  da
codesta ecc ma Corte per  le  misure  di  coordinamento  della  spesa
pubblica -  risultano  pertanto  lesive,  oltre  che  del  III  comma
dell'art.117 Cost. e dell'art. 119 Cost. (violato peraltro, anche  in
relazione ai commi III e IV per  l'effetto  perequativo  implicito  e
distorto  che  le  disposizioni  impugnate  producono),  anche  degli
articoli 3 e 97,  la  cui  violazione  ridonda  nella  lesione  delle
competenze regionali, dal momento che i criteri di cui ai commi 1 e 2
dell'art. 14, valgono in ogni caso a identificare,  per  effetto  del
comma 4-ter, la misura del risparmio a cui ogni  singola  regione  e'
tenuta,  con  violazione  quindi  della  autonomia  organizzativa   e
finanziaria. Infine, la  mancanza  della  previsione  di  una  intesa
determina la violazione del principio di leale collaborazione di  cui
all'art. 120 della Costituzione. 
    3) Illegittimita' dell'art.15. 
    L'art.15, relativo alla spesa  per  autovetture,  modificando  il
comma  2  dell'art.  5  del  decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto  2012,  n.  135,
prevede che dal 1° maggio 2014,  le  regioni,  in  quanto  rientranti
nelle amministrazioni interessate  dalla  disposizione,  non  possano
effettuare spese di ammontare superiore al 30 per cento  della  spesa
sostenuta nell'anno 2011 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio
e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi. 
    Tale disposizione, peraltro anch'essa di carattere  permanente  e
anch'essa senza la previsione  di  un'intesa,  risulta  lesiva  delle
competenze e prerogative regionali dal momento che si tratta  di  una
disposizione puntuale priva del carattere di  principio  fondamentale
di coordinamento della  finanza  pubblica.  Al  riguardo  si  rimanda
pienamente  alle  motivazioni,  che  si   ripropongono   interamente,
sviluppate al punto precedente riguardo alla  violazione  degli  art.
117, III comma, 119 Cost. e del principio di leale collaborazione  di
cui all'art. 120 della Costituzione. 
    Inoltre, la disposizione, introducendo un  meccanismo  di  blocco
della  spesa  senza  nessun  rapporto  con  standard  medi,   finisce
irragionevolmente  per  avvantaggiare  quelle   regioni   che   hanno
effettuato nell'anno 2011 spese maggiori, senza alcuna considerazione
del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Tale
disposizione risulta pertanto lesiva anche  degli  articoli  3  e  97
della Costituzione che ridonda,  stante  il  carattere  generale  del
vincolo, sulle competenze costituzionalmente assegnate alla  regione,
che risulta limitata nella propria capacita' organizzativa. 
    4) Illegittimita' dell'art. 24, comma 4. 
    L'art. 24, comma 4, estende anche alle regioni  la  normativa  di
cui all'art. 3 del decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. In particolare,
a  seguito  della  novella,  il  nuovo  comma  7  dell'art.   3   del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, statuisce ora che  le  previsioni
di cui ai precedenti commi 4 e 6 si applichino anche alle regioni, in
quanto compatibili. Nello specifico, con riferimento ai contratti  di
locazione passiva aventi ad oggetto immobili a  uso  istituzionale  i
canoni di locazione sono ridotti a decorrere dal l° luglio 2014 nella
misura del 15  per  cento  di  quanto  corrisposto,  applicando  tale
decremento anche ai contratti di locazione scaduti o  rinnovati  dopo
tale data. Tale  riduzione  del  canone  di  locazione  si  inserira'
automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell'art. 1339  c.c.,
anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti,
salvo il diritto di recesso del locatore. E' previsto,  poi,  che  il
rinnovo del rapporto di locazione sia consentito solo in  presenza  e
coesistenza della disponibilita' delle risorse finanziarie necessarie
per il pagamento dei canoni, degli oneri e dei costi  d'uso,  per  il
periodo di durata del contratto di locazione e della permanenza delle
esigenze  allocative.  Similare  disciplina  e'  introdotta   per   i
contratti di locazione passiva, aventi ad  oggetto  immobili  ad  uso
istituzionale di proprieta' di terzi, di nuova  stipulazione.  L'art.
24, comma 4, introduce anche nel novellato comma 7  dell'art.  3  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, la facolta'  per  le  regioni  di
adottare misure alternative di contenimento della spesa  corrente  al
fine di conseguire comunque risparmi non inferiori a quelli derivanti
dall'applicazione della medesima disposizione. 
    In questi termini la norma, imponendo, peraltro senza intesa, una
misura permanete e dettagliata di riduzione di una specifica voce  di
spesa concretizza una disposizione puntuale priva  del  carattere  di
principio fondamentale di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e
pertanto contrasta con gli  articoli  117,  III  comma  e  119  della
Costituzione. Al riguardo si rimanda pienamente alle motivazioni, che
si ripropongono interamente, sviluppate ai punti precedenti  riguardo
alla violazione degli art. 117, III comma, 119  Cost.  (ivi  compresa
anche la violazione dei commi III  e  IV  per  l'effetto  perequativo
implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono)  e  del
principio  di  leale  collaborazione  di  cui  all'art.   120   della
Costituzione.  Inoltre,  la   norma   in   oggetto,   imponendo   una
generalizzata e irragionevole riduzione dei  canoni  di  locazione  a
prescindere  dalla  loro  congruita',  risulta  anche  lesiva   degli
articoli 3 e 97 la  cui  violazione  ridonda  in  una  lesione  delle
competenze  costituzionalmente   garantite   alla   regione,   e   in
particolare sull'autonomia finanziaria e organizzativa, derivante dal
fatto che le regioni sono comunque tenute a garantire, in ogni  caso,
risparmi non  inferiori  a  quelli  derivanti  dall'applicazione  dei
criteri irragionevoli stabiliti dalla disposizione impugnata. 
    5) Illegittimita' dell'art. 41, comma 2. 
    L'art. 41, comma 2,  statuisce  che,  al  fine  di  garantire  il
rispetto dei tempi  di  pagamento  di  cui  all'art.  4  del  decreto
legislativo 9 ottobre 2002, n.  231,  le  regioni,  che,  sulla  base
dell'attestazione dei  tempi  di  pagamento,  registrano  tempi  medi
superiori a novanta giorni nel 2014 e a sessanta giorni  a  decorrere
dal 2015, rispetto  a  quanto  disposto  dal  decreto  legislativo  9
ottobre 2002, n. 231, nell'anno successivo a  quello  di  riferimento
non possano procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi  titolo,
con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i  rapporti  di
collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche
con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E'  previsto,
inoltre, il divieto di stipulare contratti di servizio  con  soggetti
privati che si configurino come elusivi della presente disposizione. 
    Tale disposizione appare  irragionevole  oltreche'  lesiva  delle
competenze e prerogative  regionali.  Essa,  infatti,  introduce  una
«sanzione» del tutto disomogenea  rispetto  alla  violazione  cui  e'
connessa, e potenzialmente contrastante  con  la  stessa,  senz'altro
corretta, finalita' che la dovrebbe ispirare. Risulta  inoltre  priva
di  ogni  criterio  di  proporzionalita'  e  congruita'.  Al  mancato
rispetto  dei  tempi   di   pagamento   da   parte   della   pubblica
amministrazione, la norma impugnata invece di  collegare  «sanzioni»o
rectius ripercussioni  connesse  e  proporzionate  all'inadempimento,
prevede, anche in violazione del principio del buon  andamento  della
pubblica  amministrazione,  un  irragionevole  «blocco»totale   delle
assunzioni, sotto qualsiasi forma,  che  potrebbe  addirittura  anche
condurre ad un ulteriore incremento dei tempi di  pagamento,  ove  il
ritardo degli stessi sia dovuto proprio alla carenza di personale. 
    Si precisa, peraltro, che la suddetta violazione dei principi  di
ragionevolezza  e  di  buon  andamento  ridonda  certamente  in   una
violazione delle competenze costituzionali della regione, dal momento
che questa viene indebitamente limitata nella  propria  capacita'  di
organizzazione amministrativa:  si  realizza  pertanto  una  indebita
interferenza con il IV  comma  dell'art.117  che  riconosce  in  tale
ambito una competenza legislativa residuale regionale. 
    Inoltre,  la  disposizione  stabilendo  una  misura  permanete  e
dettagliata  di  blocco  totale  di  una  specifica  voce  di   spesa
concretizza  una  disposizione  puntuale  priva  del   carattere   di
principio fondamentale di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e
pertanto, come  gia'  ricordato  in  precedenza,  contrasta  con  gli
articoli  117,  I  e  III  comma,  nonche'  con  l'art.   119   della
Costituzione.